7. L'esperienza delle Figlie del S. Cuore
La comunità delle Figlie del Sacro Cuore si stabilisce a Shengjin nel 1996, dopo qualche anno di ricerche ed esperienze sul territorio albanese da parte di alcune sorelle della Provincia. Il paese appartiene al municipio di Lezhe, che dista 70 Km da Tirana e 50 da Scutari. Shengjin – San Giovanni – si trova sul mare, su cui si apre il vecchio porto commerciale e conta, oltre al centro con circa 4000 abitanti, alcune zone periferiche, in ambiente lagunare: Ishull Shengjin , Lagja Saljaneve, Lagja E Re, Koder Marlekaj, Lagja Geja.
Fin dagli inizi, la popolazione si è dimostrata benevola e accogliente nei confronti delle suore. Il servizio offerto dalla loro comunità si apre nel campo della formazione di giovani e adulti per la catechesi, l’animazione dei bambini e il servizio di carità, nella cura dei sacramenti e della liturgia,nella formazione dei bambini a Shengjin e al centro Sacro Cuore. Inoltre si sono attuati corsi per giovani di lingua, d’informatica e di formazione umana con l’aiuto di volontari e anche corsi di formazione per le donne.
In questi setti anni le suore hanno vissuto situazioni difficili insieme al popolo albanese. Nel 1997 c’è stata la rivolta civile con gravi e violenti disordini tra la popolazione. Nei due anni successivi hanno dovuto rispondere all’emergenza dei profughi dal vicino Kosovo con la realizzazione di un campo d’accoglienza anche a Shengjin, mentre alla fine dello scorso anno un forte alluvione ha peggiorato la situazione di molte famiglie .
La missione delle suore è un punto di riferimento, per il lento cammino di approccio alla fede, per i molteplici bisogni e problemi vissuti dalla gente:
- la mancanza di lavoro, che impone a molti uomini di emigrare all’estero, spesso clandestinamente, con la triste conseguenza di famiglie dove i quattro-cinque figli crescono soltanto con la presenza della madre;
- la dura realtà vissuta dalle donne, sottoposte a scarsissima considerazione sociale, costrette a lavori anche duri, represse nella manifestazione della loro sensibilità e delle loro esigenze;
- le dure imposizioni date dalla legge del Kanun, che determina ancora la vita di singole e di gruppi familiari, dettando le regole per la vendetta di sangue, per la formazione delle famiglie (è il padre che cerca il marito alle figlie, con la quasi totale realtà di famiglie senza vincoli di amore vero), per molti rapporti sociali;
- è del tutto ancora viva la conseguenza di cinquant’anni di dittatura comunista, 1944 – 1990, che aveva isolato completamente il Paese dal resto del mondo e che aveva negato ogni fede ed espressione religiosa;
- le istituzioni non rappresentano ancora una garanzia per la popolazione: scuole, ospedali, sicurezza pubblica, mondo del lavoro, sono sottoposti quasi sempre a regole clientelistiche, tra le quali si fa strada solo la forte malavita locale;
- l’ignoranza creata dalle imposizioni del regime provoca ancora una diffusa indifferenza per la proposta religiosa, sia essa islamica, ortodossa o cattolica; non vi sono episodi di fondamentalismo, il dialogo tra le religioni appare possibile e ricco di prospettive; tuttavia la fragilità attuale del Paese è facile terreno per le sette e pseudo movimenti religiosi;
- alla periferia delle città, anche qui a Shengjin nella zona della palude, si stabiliscono in povere baracche di legno e plastica le famiglie provenienti dalla montagna; per i bambini è pressoché impossibile raggiungere la scuola d’inverno e quando piove; la temperatura scende spesso sotto lo zero; in molte scuole mancano ancora i vetri alle finestre.
Suor Lorenza: Tutto è iniziato nel 1993 con il campo estivo progetto SPERANZA dei Gesuiti dopo la caduta del regime. Nel settembre ’96 si è costituita la nostra comunità. Io non volevo venire volevo sapere cosa avremmo dovuto fare. [ qui Suor Lorenza cita la famosa frase… “Il regime ci ha tolto tutto quello che possedevamo,ma se lavoreremo lo recupereremo. Ci ha tolto persone care, ma se avremo fede in Dio un giorno le rivedremo. Ma quello che il regime ci ha tolto e non riavremo più è l’anima: se volete aiutarci ridateci l’anima” ]. A questo punto ho detto: “Provinciale, io vado in Albania”, perché sentivo che era il compito del nostro carisma recuperare l’uomo. Noi siamo qui per dare un piccolo germe di speranza, per dare un po’ di fiducia in loro stessi, e siamo qui per essere segno di qualcun Altro.
Suor Rosa: Non volevo venire, volevo andare in Brasile ma le superiori mi hanno consigliato l’Albania. Mi hanno mandato in montagna, una zona vicino al Montenegro, in una capannetta senza niente: né letti, né sedie, né luce per due mesi ed è stata l’esperienza più bella della mia vita, e la gente arrivava a fiotte. A chi mi chiedeva perché sono venuta qui, io dicevo: “Il mio sposo è già qui. Sono fortunata, dovunque segua il mio sposo ho già un pezzo di casa.”
Suor Assunta: sono venuta nel 1994 a Scutari ad insegnare italiano per sostituire una suora. Poi sono ritornata nel 1995. Io stavo a Brescia , e all’oratorio della mia parrocchia venivano a bussare molti albanesi . L’ho letto come un segno, e a quel punto ho detto “vado”.
Suor Fernanda: la prima volta che sono venuta sono rimasta sconvolta. Poi sono ritornata in Italia e dopo alcuni anni non senza fatiche ma anche segni, sono ritornata definitivamente nel 2002.