3. Il dopo Hoxha
Morto Hoxha, diventò segretario del partito e capo del governo Ramiz Alia, che era stato uno stretto collaboratore del dittatore, nonché ideologo del partito. La situazione era critica: i quarant’anni di dominio enverista avevano immobilizzato l’intera economia, totalmente controllata dagli apparati statali e da una burocrazia centralista.

Alia gestisce il dopo Hoxha all’insegna della gradualità ma incominciano le prime contestazioni, che si fanno più forti dopo il crollo del muro di Berlino. Rivolte degli studenti, scioperi, esodi di massa hanno reso difficile la vita al nuovo presidente, costringendolo a sostanziali modifiche nella politica interna. Alia autorizza così il pluripartitismo e indice le prime elezioni libere.

Nel 1991, durante una manifestazione popolare, i dimostranti abbattono a Tirana la grande statua di bronzo di Enver Hoxha: un incubo era finito.
Le condizioni economiche dello stato sono però sempre più precarie e scarseggiano i viveri e i beni di prima necessità. Incominciano i grandi esodi verso le coste della Puglia; chi veniva in Italia era disposto a pagare dai 3 ai 5 milioni di lire, quando uno stipendio medio era di 20 dollari al mese.
Le elezioni del 1992 posero fine a 47 anni di potere comunista e il nuovo governo diede violentemente la caccia agli ex-uomini di partito. Dopo l’esodo dei kossovari in Albania, a seguito del bombardamento della nato sulla Jugoslavia (1999) e l’elezione del primo ministro Fatos Thanas Nano (2002), la disoccupazione, il basso livello di vita, la bassa produzione, la dipendenza dagli aiuti internazionali e la profonda crisi energetica affligono l’Albania odierna.